povertà educativa

La povertà educativa e il coronavirus

In un momento di crisi così preoccupante, nella scaletta delle preoccupazioni si piazza, tra i primi posti, quella per i bambini e le bambine più fragili. Le disuguaglianze sociali si amplificano e chi non è al passo…tecnologico rimane indietro, rimane solo. E’ tempo di una pedagogia creativa che possa raggiungere chi è “diverso” in termini di disponibilità economica e di strumenti, in termini di capacità cognitive.

Tempo fa leggevamo, su una rivista sul tema della reciproca trasformazione (educatore-studente), della capacità dell’educatore di “sognare” il bambino, di immaginare cosa potrà diventare e del cambiamento che avviene anche nella visione, nelle interazioni del professionista.

Oggi ci rendiamo conto che le visioni, a volte, più che creare opportunità, creano visionari e la povertà educativa, quando ha radici profonde, ti rimane cucita addosso come una camicia di forza. La scuola ha un ruolo importantissimo per tutti quei bambini/e che a casa vivono una condizione di svantaggio e di sofferenza e, l’isolamento di questo periodo storico, non fanno altro che aumentare le distanze ed il disagio.

Mi chiamo Giosuè e frequento la classe X della scuola primaria. Mi mancano i miei compagni e le mie maestre ma, io e la mia famiglia, cerchiamo di trascorrere il tempo nel modo più fruttuoso possibile. Ci siamo iscritti alla piattaforma online della scuola e stampiamo le schede. Io e mia sorella facciamo i compiti ogni giorno, se abbiamo dubbi, chiediamo a mia madre delle spiegazioni e poi, insieme, seguiamo le lezioni e le correzioni degli insegnanti. Il pomeriggio leggiamo dei libri o trascorriamo il tempo facendo delle attività creative, oppure facciamo dei giochi di società”.

Mi chiamo Roberto e frequento la stessa classe di Giosuè, sono a casa da tanti giorni e non ho ancora ben capito il perché. Litigo ogni giorno con mia madre perché non mi porta più da “Tutto un Euro” e oggi le ho dato pedate e mollato qualche schiaffo. Ho sentito che dalla scuola chiedono delle cose che né io, né i miei genitori comprendiamo. Noi un computer non ce lo abbiamo e neanche una stampante. Mia madre è analfabeta e mio padre si dispera perché a casa la connessione del telefono non funziona molto bene. Da un mese è nata la mia sorellina ed è bruttissima, vuole stare sempre attaccata alla mamma e piange, io non la voglio”.

Roberto è un bambino al quale è stato diagnosticato un ritardo dell’apprendimento, segue un programma differenziato e, spesso, questo gli crea frustrazione e rabbia e capita che, di scatto, si alzi per dare un pugno al compagno che ha svolto bene un compito ed è stato elogiato. Negli anni, ha raggiunto obiettivi minimi sul piano dell’apprendimento ma ha fatto tantissimi progressi in ambito relazionale. Da due anni, alza la mano e prende la parola in discussioni di gruppo ed i suoi interventi diventano sempre più precisi e pertinenti rispetto al tema affrontato. Senza alcuna indicazione da parte degli insegnanti, i compagni, puntualmente, fanno partire un applauso che, ogni volta mi commuove.

Mi commuove vedere gli occhi di Roberto radiosi per essere “riconosciuto” competente in qualcosa, mi commuove la sensibilità del gruppo classe che rinforza un comportamento che, con buone probabilità, verrà ripetuto. Nella scuola Valdese, il gruppo viene considerato risorsa per connettere esperienze, facilitare apprendimenti, per attivare motivazione e coinvolgimento autentico. La mia personale opinione è che la scuola Primaria, ancor prima che l’acquisizione di apprendimenti, informazioni e nozioni, sia il luogo in cui, insieme al sistema familiare, di costruisce l’identità di ogni bambino. Adesso, l’impresa ardua è quella di cercare di “connettere” Roberto ad un sistema informatico, è quella di facilitare, con mezzi alternativi, la comunicazione e la relazione…a distanza, è quella di cercare di rispondere ad una richiesta di aiuto e a bisogni che non sono neanche formulati da bambini come Roberto e dalla sua famiglia. Occorre, come afferma Franca Olivetti Manoukian, prendere coscienza “dell’insostenibile pesantezza del ricorso alla razionalità astratta”, secondo la capacità di reinventare gli interventi scolastici e sociali che non possono essere omologati ad una logica di mezzi e strumenti uguali per tutti.

Rosaria Alleri, referente semiconvittori Centro Diaconale La Noce – Istituto Valdese

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