Il modello di accoglienza

di Chiara Cianciolo e J.J. Tenclay, Centro Diaconale La Noce

Assistiamo quotidianamente agli effetti prodotti dal paradosso per cui seppur il diritto d’asilo esiste ed è tutelato lo si riesce a esercitare soltanto arrivando in maniera illegale sul territorio degli Stati.
L’ Unione europea tutela il diritto d’asilo, tutela la dignità, la vita umana e condanna trattamenti inumani e degradanti, ma la possibilità di esercitarlo viene garantito soltanto alle persone che, pagando trafficanti e affrontando viaggi drammatici, riescono ad arrivare nel territorio degli Stati membri.
In un momento in cui si assiste al tentativo di svuotamento del diritto d’asilo e in cui la criminalizzazione dei migranti diviene un modo per fare frontiera il progetto dei corridoi umanitari si pone l'obiettivo di scongiurare la conta dei morti in mare e il traffico dei migranti attraverso l’apertura di canali sicuri e legali che consentono a profughi in condizioni di particolare vulnerabilità, di entrare in Italia su un volo di linea grazie ad un visto umanitario.
Degli oltre 15 milioni di profughi creati dal conflitto siriano, 1,5 milioni vivono nei campi profughi in Libano in condizioni di povertà e privazione di diritti quali l’accesso alle cure sanitarie, servizi scolastici e al lavoro in assenza dei documenti per una permanenza regolare sul territorio.
Le persone in condizioni di vulnerabilità che prendono parte al progetto dei corridoi umanitari vengono informate sulle condizioni di accoglienza previste una volta arrivate in Italia dove si è strutturata una accoglienza diffusa su tutto il territorio nazionale.
Il progetto, interamente finanziato con i fondi dell’8x1000 della chiesa valdese, ha coinvolto Centro Diaconale “La Noce” nell’accoglienza di tre nuclei familiari siriani, per un totale di 15 persone (5 adulti e 10 bambini), a partire dal mese di Dicembre 2016 con un ulteriore arrivo nel mese di Febbraio scorso.
Le persone accolte solo fisicamente si sono lasciate indietro morte e distruzione ma emotivamente rimangono legate alla propria casa e ai propri cari rimasti in Siria e in Libano. La sofferenza derivante dall’ esilio forzato, ci raccontano, li pone quotidianamente in una condizione in cui, seppur lontani, continuano a sperimentare una tristezza costante, a piangere i massacri e partecipare al dolore che sta segnando la propria terra e il proprio popolo. A questo si aggiunge da una parte il senso di colpa dall’altro il sollievo per essere riusciti a raggiungere un luogo sicuro, un Paese in pace in cui il conflitto siriano è solo una notizia come altre su quotidiani e telegiornali.
Dopo aver vissuto sulla propria pelle la brutalità della guerra, l’abbandono delle proprie case, la permanenza nei campi profughi e le discriminazioni razziali delle quali i siriani sono vittime in Libano, l’arrivo nel nuovo contesto d’inserimento li pone davanti ad un vivido contrasto tra morte e speranza.
A partire da questa premessa, la priorità dell’equipe, composta da due operatrici e una mediatrice culturale, è ed è stata fin dall’inizio quella di creare degli spazi condivisi di ascolto e conoscenza reciproca nell’ottica di avviare una relazione di fiducia capace da una parte di accogliere i vissuti e i racconti dall’altra di favorire il percorso verso la (ri)conquista della propria autonomia nel nuovo contesto di inserimento.
Il modello di accoglienza intende garantire misure di assistenza e di protezione volte all’empowerment dei nuclei familiari portando avanti un percorso di integrazione consapevole nel quale le persone accolte non sono mere beneficiarie passive di interventi volti in loro favore ma protagoniste attive del proprio percorso. I racconti nostalgici del grande frutteto che circondava la casa di A stanno lasciando spazio alla determinata volontà di costruirsi una vita qui a Palermo.
Insieme quotidianamente ci si propone di raggiungere piccoli grandi obiettivi quali: conoscere la città e i suoi servizi, apprendere la lingua italiana, procedere con l’iter burocratico per ottenere i documenti e il riconoscimento della protezione internazionale. Per troppo tempo le famiglie non hanno potuto usufruire di alcuna cura medica rendendo di primaria importanza all’arrivo lo svolgimento di visite specialistiche e assistenza sanitaria.
Infine per quanto concerne l’ambito scolastico i bambini sono stati inseriti nelle classi della scuola dell’infanzia e della scuola primaria dell’Istituto Valdese e presso una scuola media del territorio. L’equipe interviene nel favorire la costruzione del rapporto tra la famiglia e le istituzioni scolastiche e con il corpo insegnante. Gli adulti frequentano le lezioni del C.P.I.A al fine di conseguire il diploma di scuola secondaria di I grado. Quest’ultimo è importante per il consolidamento della conoscenza della lingua italiana e per avere la possibilità di partecipare successivamente a percorsi di formazione professionale negli ambiti di loro interesse. Frequentano inoltre i corsi intensivi di lingua italiana presso la scuola di italiano per stranieri ITASTRA dell’Università degli studi di Palermo. L’equipe e le famiglie hanno voluto inoltre impegnarsi in attività di sensibilizzazione sul territorio e nelle scuole allo scopo di costruire consapevolezza intorno alla Siria e alla condizione di disperazione e solitudine cui ci si trova quando si scappa dalla guerra, o più in generale dalla povertà.
Il mese scorso di ritorno dalla Questura operatrici e famiglie decisero di fermarsi a trascorrere qualche ora in un grande parco in città, che alle famiglie ha ricordato un parco di Homs, in cui c’era lo stesso profumo nell’aria, gli stessi agrumeti con una grande montagna sullo sfondo. Seduti sotto un grande albero ci si è chiesti cosa riserverà il futuro alla Siria e al suo popolo in fuga; che rapporto potranno avere i siriani non i loro luoghi dopo questo massacro; se si potrà tornare ad essere felici. La felicità, ci si è detto, guardando i bambini che giocavano a pochi metri, è nei loro sorrisi, nella possibilità di riappropriarsi del proprio futuro, nella prima parola in italiano che il più piccolo quel giorno disse e nell’attesa della piccola Hiba. Hiba è nata il 26 Aprile e in arabo significa dono, un dono per tutti noi che abbiamo potuto accoglierla con gioia in uno spazio protetto consapevoli che è sfuggita all’inferno.